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Message in a bottle (ovvero, l’importanza dell’interlocutore)

Posted by Laura Bertoli on 27/04/2014 in Pensieri sulla scritura |

Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di poter scrivere qualche pagina seduta in riva al mare. Parlo di pagina di carta, scritta con la penna. Niente pc o smartphone, solo il collegamento tra la mano e il cervello che si trasforma in flusso di coscienza e che è tanto difficile riproporre con la tastiera, soprattutto per la possibilità di ricorrere in qualsiasi momento al tasto canc e ricominciare da capo, destinando all’oblio le righe riscritte. Mi è tornata la nostalgia per le lettere, quelle che andavi in cartoleria a scegliere la carta con i disegnini giusti, quelle che per spedirle dovevi camminare fino alla buca delle lettere in fondo al paese e già pregustavi la risposta che sarebbe arrivata (minimo) la settimana dopo. Le lettere che si facevano attendere e che leggevi tutte d’un fiato, consumandole in pochi secondi. Le lettere degli amici di penna trovati sui giornali per ragazzi, che non conoscevi ma di cui sapevi forse di più di certi contatti di facebook di oggi. O ancora i diari su cui ci si scriveva con i compagni di classe durante le lezioni, e poi ce li si scambiava per leggerli e per rispondere (insomma, una specie di chat). I quaderni su cui scrivevo le poesie in Inghilterra, da un capolinea all’altro di un autobus, solo per il gusto di sapere che il vicino di sedile avrebbe potuto sbirciare quanto voleva ma non avrebbe capito quello che stavo scrivendo.

Soprattutto mi tornano in mente i messaggi in bottiglia, ne hai mai scritti? Nei momenti più malinconici della mia infanzia, in cui avrei voluto sfogarmi con un amico ma non ce n’erano a disposizione, mi piaceva affidare i miei pensieri a un foglio di carta e infilarlo in una bottiglietta di succo di frutta all’albicocca, per poi abbandonarlo nel torrente che scorreva vicino alla casa dei miei nonni, senza preoccuparmi troppo del fatto che la bottiglia non avesse un tappo a prova di acqua e che presto si sarebbe riempita rendendo illeggibile il mio messaggio, se mai avesse potuto raggiungere le onde dell’oceano. Ma restava il fatto che sognavo che qualcuno avrebbe raccolto e accolto le mie parole e sarebbe venuto a salvarmi. Non ricordo cosa scrivessi su quei fogli ma sono certa che quel gesto simbolico già di per se mi facesse tornare allegra. E se non proprio allegra, mi faceva comunque immaginare navi di pirati, isole del tesoro ed avventure che almeno la mia bottiglia avrebbe potuto raggiungere e incontrare.

Penso che in fondo un po’ tutto quello che noi scrittori scriviamo sia un messaggio in bottiglia che affidiamo alla corrente della vita, sperando di arrivare al cuore di qualcuno. A volte la nostra bottiglia si arena in qualche ansa di un fiume, o viene ingoiata da un pescecane, o le parole si cancellano perché abbiamo usato il tratto pen e non la penna biro. Ma altre volte la bottiglia viene raccolta sulla riva, all’altro capo del mondo, da un ragazzino che magari non parla nemmeno la nostra lingua ma che, magicamente, ci capisce per pura intuizione, rendendo finalmente vive e utili le nostre parole, trasformando il nostro sfogo privato in una storia degna di essere raccontata e condivisa.

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2 Comments

  • Vlad ha detto:

    Per combinazione, pochi giorni fa abbiamo scovato in casa una scatola di cartoline. Ma piena zeppa. Ma non divaghiamo: allegoria del messaggio in bottiglia. Non ne ho mai mandato uno vero e proprio, ma ho scritto tonnellate di appunti e di cavolate a mano (ancora adesso scrivo le brutte e le prime stesure rigorosamente con la stilo) e credo di avere ben presente cosa intendi dire.
    Non solo, noi siamo tutti presi a mettere così tanti messaggi in bottiglia che ho un flash come nell’ultima strofa di Message in a Bottle, quando il narratore è sommerso a sua volta di milioni di questi messaggi. Per lui è un messaggio di conforto, si sente in compagnia di altri che si sentono soli come lui; per uno scrittore, dipende da come la si prende.
    Tornando al cappello introduttivo, quello che più mi manca è il ritmo della comunicazione di una volta. Anche le lettere con gli amici di penna, ma il ritmo è una cosa comune tra le lettere e la telematica della prima ora. Quando frequentavo le bbs il ritmo era analogo alle lettere: dallo stesso nodo potevi avere una risposta forse il giorno dopo, ma se scrivevi in un’altra regione o in un altro stato, dovevano passare diversi scambi notturni fra nodi prima della consegna. Il risultato: nessuno stava a pigiare F5 e frignare “Ness1 risp???” dopo solo mezzo minuto, non esisteva proprio. Si pensava ad altro. Anzi, magari la pizzata del venerdì (tutte le bbs facevano ritrovi settimanali) arrivava prima di una risposta online.

    • Laura Bertoli ha detto:

      Sulle cartoline ci sarebbe molto da dire, comunque! Se penso alle ore che passavo davanti all’espositore solo per sceglierne una… e alla fatica per trovare una frase! 😉
      Stavo pensando che l’immagine della bottiglia rende bene anche il senso di una certa difficoltà di espressione, delle cose che “ti restano dentro”, a cui non riesci a dare voce se non lanciandole all’infinito, a chi le legge le legge, e che a volte è proprio l’interlocutore che non ti aspetti a darti il conforto che ti serve.

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