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Mattia Spirito, l’occulto e i vampiri

Posted by Michela Alessandroni on 23/06/2014 in Consigli per gli scrittori, Libri |

Dopo il tramonto” (flower-ed, 2014) è la straordinaria opera d’esordio di Mattia Spirito, giovane autore pugliese che pone al centro delle sue narrazioni i cosiddetti figli della notte, i vampiri.

In questo articolo, Mattia vuole condividere con i lettori e con gli scrittori esordienti alcune considerazioni su questo mondo fantastico e occulto che tanto seguito ha trovato fra i lettori di tutto il mondo, esprimendo il suo punto di vista in maniera schietta ed efficace, parlando della creazione dei personaggi, delle loro caratteristiche, degli errori da evitare, dei libri che possono essere d’ispirazione e di come costruire una storia.

Michela Alessandroni

 

Scrivo questo articolo parlando in maniera del tutto personale e spontanea, secondo la mia esperienza e i miei gusti di autore e lettore.

Scrivere vuol dire innanzitutto vedere. Certo, c’è bisogno di leggere tantissimo, di informarsi, di saper formulare frasi e quant’altro, ma, senza la materia prima che si trova in testa, tutto ciò potrebbe non bastare.

Il mio modo di ideare e scrivere romanzi è alquanto semplice. Mi piace e mi è necessario vedere ogni cosa che racconto come se in realtà fosse la scena di un film. Descrivo ciò che sto osservando, a volte esagerando con i dettagli e quindi limandoli durante la revisione, perché possono dar fastidio e annoiare il lettore se sono eccessivi: distolgono l’attenzione da quell’ambiente circostante che noi stessi abbiamo creato e portano i personaggi quasi a perdere parte del volto ma anche a rendere più faticoso poi, per chi legge, riprendere la concentrazione e proseguire con la storia.

Nel mio romanzo “Dopo il tramonto” ho affrontato la tematica dei vampiri e dell’occulto.

Ecco, per quanto riguarda questo genere di creature bisogna essere meticolosi e molto attenti a ciò che si scrive su di loro. Esistono leggende sui figli della notte che, per quel che mi riguarda, possono essere sì alterate ma pur sempre rispettate senza che si rischi di far sfociare nel ridicolo la creatura in questione. Non dico che bisogna attenersi al cento per cento a ciò che si tramanda, ma neanche si deve trasformare il vampiro in un essere umano completo, altrimenti non possiamo più parlare di vampiro vero e proprio.

Nel mio romanzo ho cercato di riportare il figlio della notte quasi tradizionale, e sottolineo quasi. Ho dotato alcuni di loro di sentimenti, come la capacità di provare amore. Ma è un passaggio credo necessario se si vuole affiancare questo tipo di essere all’uomo nei libri odierni, sempre senza stravolgere troppo la sua essenza, altrimenti non si può più parlare di vampiro. Possiamo prendere i vari sentimenti dall’amore, all’odio, all’invidia, all’eccitazione e usarli come leve per far muovere questo personaggio oggi un po’ stereotipato. Per evitare di renderlo prevedibile come il solito cattivo che magicamente diventa buono solo per “amore” o inezie del genere bisogna necessariamente restare ben saldi ad alcuni principi della tradizione sui figli della notte.

Il vampiro originario non provava così facilmente affetto per le sue vittime. Si è sentito il bisogno di modernizzarlo e non credo ci sia nulla di male, anzi, incuriosisce rendere un po’ più vulnerabile questo losco figuro notturno e affiancarlo all’essere umano, ma ricordiamo sempre che egli non è, e mai dovrà essere totalmente umano. Avrà comunque sempre le sue “debolezze” da demone da un morso e via. Deve essere un personaggio che cammina sul filo del rasoio, capace di restare in perfetto equilibrio tra il bene e il male secondo l’evoluzione che oggi si è voluta dargli. Il vampiro ha una sorta di instabilità e bestialità latente sempre pronta a scattare.

Creando queste eccezioni “buone” che contrastano, coabitano e vivono la storia con vampiri totalmente malvagi, come da tradizione, che hanno un preciso scopo nel romanzo, non si rischia di ammorbare l’opera che si intende creare e non si trasforma il libro in una soap opera straziante e infinita sempre con lieto fine scontato.

Ci sono svariati esempi da cui prendere ottime nozioni per quanto riguarda i vampiri o l’occulto. Il più classico ed essenziale è “Dracula” di Bram Stoker; inoltre, non escluderei “Salem’s Lot” (“Le notti di Salem”) di Stephen King, “La regina dei dannati” e “Intervista col vampiro” di Anne Rice. Sono tutti romanzi dove vediamo le potenzialità dei vampiri e la loro riluttanza nella maggior parte dei casi ad avvicinarsi ai sentimenti che sono prettamente umani. È ben visibile la loro crudeltà, come nel caso di “Salem’s Lot”, che si diffonde come una pestilenza letale che finisce per opprimere persino i bambini.

Quello è il vero vampiro. Possiamo prenderlo e rendere malleabile la sua indole piegandola un po’ secondo le nostre esigenze, ma sono dell’idea che lo scheletro debba restare invariato.

Menziono “Twilight” e la sua saga come uno degli esempi secondo me sbagliati di gestione di questo personaggio, che personalmente ho trovato irritante anche dal punto di vista fisico della creatura, come la questione di diventare una lampadina sotto il sole o sgretolarsi in polvere senza perdere la minima goccia di sangue; senza contare la loro semplicità nel convivere con esseri umani e per giunta presenziare i loro stessi luoghi comuni senza alcuna difficoltà. Il vampiro è per indole una creatura solitaria. Ecco un prodotto a mio parere errato di stravolgimento o modifica delle basi di una leggenda che viene così solo rovinata.

Per quanto riguarda i metodi per cominciare a scrivere un romanzo, esplicherò quelli che applico personalmente.

Si comincia con un’idea generale della storia. Una sorta di piccolo input, che può essere racchiuso anche in una sola frase. Dopo che l’idea in mente è ben chiara, occorre dilatarla aggiungendo dei moventi per cui accade la storia, per cui il personaggio si trova implicato negli avvenimenti e per cui si muove in un certo modo o compie determinate scelte. Sono delle domande che dovete porvi affinché ogni protagonista o carattere trovi posto nel mosaico che avete in mente permettendogli così di evolversi aggiungendo nuovi pezzi e rendendolo vario e imprevedibile. I moventi devono essere tutti plausibili e validi, cercando così di anticipare le domande del lettore e colmandole. Ove possibile, potete lasciare un dubbio che rechi suspense in conclusione della vicende o di alcune sue parti.

Un buon “trucco”, chiamiamolo così, è scrivere ciò che voi vorreste leggere. Ovvero scrivete quello che vorreste trovare in ogni libreria o sullo scaffale della vostra camera. Non fossilizzatevi nel pensare se la vostra storia sia buona o meno cercando di modificarla o renderla interessante semplicemente cambiando i vocaboli con affianco un dizionario. Non serve a nulla, perché anche un libro scritto con parole molto semplici, se scritto con l’anima sarà sicuramente molto più valido e piacevole rispetto a uno pieno di paroloni ma buttati lì senza capo né coda o con una storia scadente scritta solo per il gusto di dire “ho scritto un romanzo”. Non prendetevi in giro.

Prima pensate a quello che avete voglia di leggere e immaginare e sentite, vedete, spiate, fissate ciò che state scrivendo perché quelle parole dovranno riportare la stessa immagine e le stesse scene, movenze, ambienti e colori nella testa di chi sta leggendo.

Una cosa fondamentale per buttare giù una buona storia sono i motivi per cui scrivete. Posso raccontarvi i miei, ma non vi serviranno se non li sentirete dentro.

Mi piace scrivere perché io leggendo vedo e sento emozioni che non si provano al giorno d’oggi. Sensazioni che sono state dimenticate o che sono molto assopite. Cerco di dare nei miei romanzi uno sprazzo di emozioni: tutte quelle che vi vengono in mente vanno bene sicuramente, l’importante è saperle trasmettere al lettore, perché un lettore emozionato è un lettore compiaciuto della lettura che ha appena fatto.

Se aprite un libro e non carpite alcun sentimento in ciò che i vostri occhi scorrono, che fate? Lo chiudete e lo accantonate. Anche se in realtà andrebbe letto fino in fondo perché si impara molto di più dai libri noiosi o scritti male che da quelli scritti bene: da quelli scritti in malo modo avete una chiarissima visione di ciò che NON dovete mai scrivere. Un buon lavoro va studiato, mentre un cattivo lavoro va corretto.

Ritornando alla questione dei motivi per cui scrivere…

Il mio scopo è quello di farvi amare, temere, invidiare, odiare ogni personaggio che creo. Devono stuzzicarvi ed entrarvi in testa come fossero esseri reali e diventare vere e proprie ossessioni da recarvi incubi o bei sogni. Dovete voltarvi per strada temendo, mentre tornate a casa, che uno di loro sia lì in agguato per aggredirvi.

Dovete innamorarvene così tanto da sperare che siano reali. Voglio che ogni ambiente o ogni luogo che descrivo si possa stampare nel vostro cervello come un quadro indelebile.

Ma la cosa più importante è che leggiate per gusto, perché volete mettervi nei panni di un altro e assistere a ciò che gli accade, ascoltare le sue parole come se voi foste lì con lui. Sentire le sue paure, il suo dolore, la sua gioia, la sua felicità.

Voglio che il cuore vi batta forte nel petto a ogni frase che leggete. Dovrete essere affamati di curiosità e spinti a continuare a mangiare capitoli per sapere cosa sta per accadere e come finirà la storia…

… se finirà.

Mattia Spirito

 

Dopo il tramonto

Mattia Spirito

Dopo il tramonto

La scheda dell’e-book

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1 Comment

  • Laura Bertoli ha detto:

    Sì, sapere trasmettere emozioni non è cosa da poco. Bello il concetto di scrivere come vedere, e aggiungerei anche: come aprire gli occhi. Scrivere è talmente rivelatorio che perfino l’autore stesso a volte se ne sorprende!

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